Dieci domande a Stefano Lugli

La Gazzetta di Reggio ha posto 10 domande a Stefano Lugli, candidato presidente della lista L’Altra Emilia Romagna per le regionali del 26 gennaio 2020

1. Che cosa significa in pratica liberare l’Emilia-Romagna? Chi l’ha invasa, chi la tiene sotto assedio? Chi ha eletto i dominanti?

Lo slogan della Lega è un insulto alla storia antifascista della Regione. Per me liberare l’Emilia-Romagna significa liberarla da una criminalità organizzata che tiene sotto assedio l’economia regionale. L’Emilia-Romagna è la terza Regione in Italia per lavoratori irregolari, la quarta per interdittive antimafia e la quinta per riciclaggio. È a Reggio Emilia che si è svolto il secondo maxiprocesso del nostro paese contro un’organizzazione criminale mafiosa. È l’unica Regione, insieme al Piemonte, che conta al suo interno tutte le mafie italiane e straniere. Tutto questo non lo accetto, ciò che è stato fatto è insufficiente e voglio una Regione che alza il tiro contro le mafie.

2. Testa di ponte è un termine militare. Indica un luogo in un territorio nemico che, se conquistato, presuppone un avanzamento verso l’obiettivo. Che non è l’Emilia-Romagna ma il potere a Roma. O no?

È così. Alla Lega non interessa il futuro della Regione e pensa di utilizzare le elezioni per dare una spallata al governo. Nessuna visione di futuro e nessuna soluzione ai problemi di questo territorio. Puro tatticismo fine a se stesso che gli elettori puniranno.

3. Se lei diventasse presidente della Regione che cosa farebbe subito? (lasci perdere le giravolte, i concetti astratti, le cose irrealizzabili)

Farei subito una legge contro la precarietà e le false cooperative per creare occupazione stabile e di qualità, in particolare per i giovani. In questi anni l’occupazione è cresciuta ma sono esplosi i contratti part-time, il lavoro determinato e l’occupazione giovanile è diminuita. Serve un nuovo patto per il lavoro che metta al centro la buona occupazione e la redistribuzione della ricchezza in una Regione in cui è cresciuto il Pil ma che non ha avuto la capacità di ridurre le disuguaglianze.

4. Davvero esiste un sistema oppure un modello emiliano-romagnolo? E in cosa consiste questo modello?

È esistito un modello fondato sulla solidarietà sociale e la cooperazione. La ‘diversità’ dell’Emilia-Romagna che ancora oggi resiste in pochi servizi pubblici è l’eredità di quel modello. Un modello che è andato dissolvendosi man mano che la Regione procedeva verso la piena adesione al liberismo. Bonaccini, con la privatizzazione di servizi e sanità, grandi opere e consegna ai privati della pianificazione urbanistica ha compiuto l’ultimo passo per cancellare definitivamente quel modello.

5. Qualcuno afferma che una novità traumatica al governo dell’Emilia-Romagna potrebbe compromettere o peggiorare ciò che oggi è considerato un primato, un’eccellenza. La responsabilità di spaccare è grande.

Penso che Bonaccini e Borgonzoni siano molto più vicini di quello che vogliono far credere. Le loro posizioni non sono dissimili sul ruolo dei privati nella sanità e nei servizi pubblici, sul ruolo della Regione in economia e sul lavoro, sulle grandi opere, sul rapporto con lo Stato attraverso l’autonomia. Intendiamoci, Bonaccini e Borgonzoni non dicono le stesse cose: la destra anche in Emilia-Romagna è becera, razzista e impreparata al governo. Ma respingo una narrazione del voto secondo cui chi non sostiene Bonaccini mette a rischio l’equilibrio su cui si regge la Regione.

6. Non sarà anche lei del coro che promette un ripensamento sulla chiusura dei punti nascita in montagna… sa che queste promesse puzzano fortemente di propaganda?

Se garantire il diritto a tutti di accedere alla sanità può sembrare propaganda per me, invece, è una questione di giustizia. La chiusura dei punti nascita in montagna – ma sono a rischio punti nascita anche in aree della pianura – è la conseguenza di tagli alla sanità che hanno progressivamente impoverito la rete sanitaria periferica concentrando cure e servizi nelle città. Noi vogliamo una sanità pubblica accessibile a tutti a prescindere dal luogo di residenza, e riaprire i punti nascita chiusi significa dare a tutti le stesse opportunità. È una scelta possibile, basta cambiare la politica sanitaria regionale.

7. Non crede che il sistema congestionato delle infrastrutture e dei trasporti vada ripensato? Per le strade tante parole e neanche un metro, poca attenzione alla potenzialità della stazione Mediopadana…

Il sistema dei trasporti è congestionato perché la Regione negli ultimi anni ha puntato solo sulle autostrade. Noi vogliamo stralciare le grandi opere inutili e rovesciare i rapporti di spesa a favore della rotaia e del trasporto pubblico con l’obiettivo di ridurre la mobilità privata. Insistere sulle autostrade è miope e danneggia l’export in quanto gli stati confinanti sempre più privilegiano lo spostamento delle merci su ferro, più economico e sostenibile rispetto alla gomma. La stazione Mediopadana è vittima di un trasporto regionale che non crede nella rotaia. Basta guardare lo stato di abbandono dei parcheggi per capire in che considerazione sono tenuti i passeggeri e basta prendere un treno regionale per capire il livello insoddisfacente del servizio.

8. Siete tutti diventati verdi, verdissimi, ambientalisti, ecologisti. Però da noi di Plastic Tax e Sugar Tax guai a parlarne, con frequenza si cementifica e in ogni stagione si rischia di finire sott’acqua, l’aria che respiriamo è uno schifo.

Per creare nuova occupazione serva una grande alleanza fra lavoro e ambiente. La crociata che si è levata contro la tassa sulla plastica monouso e non riciclabile è sbagliata. Chi inquina deve pagare di più perché arreca un danno all’ambiente e alla collettività: vale per i cittadini con la tariffa sui rifiuti e deve valere anche per un sistema produttivo che si deve impegnare per ridurre alla fonte gli imballaggi non recuperabili. Negli ultimi 10 anni esondazioni disastrose hanno toccato tutte le aree di una Regione impreparata al cambiamento climatico e che vede Pd e Lega insistere con politiche di cementificazione che sono concausa della crisi ambientale ed economica che stiamo vivendo. Io voglio portare in Regione una voce alternativa a queste politiche.

9. Perché si candida? Non dica che gliel’ha chiesto il partito o che – bontà sua – si mette al servizio della Regione, l’ambizione esiste, eccome…

Sono ostinato, determinato e mi sono candidato perché credo di avere le carte in regola per portare in Regione l’unica voce che si oppone alla destra con un progetto a favore dei beni comuni e contro le privatizzazioni, per il lavoro stabile e sicuro contro la precarietà e le false coop., per la sostenibilità ambientale contro le grandi opere. Siamo un’alternativa per chi vuole innescare il vero cambiamento.

10. Fra gli altri candidati qual è il più temibile per il suo successo? Perché, e cosa gli manda a dire? Infine, che cosa ha in testa per Reggio Emilia?

Per una lista autonoma della sinistra come L’Altra Emilia-Romagna il candidato più temibile è Bonaccini, che di sinistra ormai ha ben poco. Perché fa un uso spregiudicato del voto utile grazie al quale ha allargato la sua coalizione fino a imprenditori come Fagioli che licenziano 500 facchini con un sms, a sindaci eletti con i voti della Lega e ad altri personaggi con biografie politiche spostate a destra. Gli dico che acquisire il consenso per pacchetti di voti a prescindere dalla proposta complessiva è la pietra tombale sulla politica. Per i cittadini di Reggio Emilia, così come per tutti i cittadini della Regione, penso a città in cui la sicurezza sia data da un lavoro sicuro, una sanità ed una scuola pubblica e dove l’ambiente non sia un mix di veleni che fanno della Pianura Padana il territorio più inquinato d’Europa.

Stefano Lugli
Candidato presidente L’Altra Emilia-Romagna


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